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SPECIALE SU PIER PAOLO PASOLINI - 2° Parte

L'intervento dello storico del cinema Fernaldo Di Giammatteo

SPECIALE SU PIER PAOLO PASOLINI - 2°  Parte

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data: 02/11/1975, Roma

Nel 30° della morte, vengono riproposti, dagli atti delle conferenze tenute in Valdarno nel 1985, in occasione del decennale della morte di Pier Paolo Pasolini, a cura di Massimo Palazzeschi, assessore dell'Associazione Intercomunale n.20/A Valdarno Superiore Sud, due interventi di particolare valore:

L'intervento dello storico del cinema Fernaldo Di Giammatteo sul cinema di Pasolini: da "Accattone" a "Salò", passando per "Uccellacci e uccellini".

Pasolini era un uomo fragile che rifiutava la sua fragilità e che si convinse a poco a poco di essere molto forte. Allora sfidò i potenti, sfidò tutti coloro che gli stavano intorno, per nascondere quella che era una sua profonda, connaturata debolezza. Aveva avviato la sua vita su binari che gli sembravano (come poi disse) fuori della comune convivenza degli uomini. Era omosessuale e ne soffriva come di una lacerazione profonda. C'è una poesia alla madre in cui tutto è messo a fuoco in modo perfetto: quasi un grido, non solo di dolore ma di accusa nei confronti della madre. Dice: sei tu la colpevole della mia condizione.
Tutto questo se l'è sempre portato addosso come un fardello. E dal momento in cui si è reso conto di avere un fardello sulle spalle ha sentito anche di essere come una nuova incarnazione di Cristo. Così, l'immagine portante di tutta la sua vita e anche del suo cinema è la figura del Cristo nella quale finiva per identificarsi: con un atteggiamento singolare, quasi blasfemo. "Sono come Cristo ma io sono certamente l'opposto, psicologicamente, di Cristo. Però mi identifico con lui perché come lui soffro, come lui pago questa mia 'violenza' nei confronti della società, come lui pago questo mio rifiutare totalmente il mondo nel quale vivo."
Chi ha visto "Il Vangelo secondo Matteo" avrà capito immediatamente che il Cristo doppiato da Enrico Maria Salerno, il Cristo interpretato dallo studente catalano, è un Cristo violento, anarchico, ribelle. Non porge mai l'altra guancia; anzi schiaffeggia tutti quelli che offendono la verità, e lo fa con una violenza e una brutalità che allora sollevarono scandalo. Il cinema di Pasolini è sempre stato un cinema scandaloso: fin dall'inizio, fino da "Accattone"; per finire poi nello scandalo degli scandali che è "Salò", un film che ti pone davanti alla brutalità accettata per tale o addirittura vista con compiacimento, attraverso, naturalmente, Sade.
Pasolini è riuscito ad essere diverso da tutti gli altri registi del cinema italiano. La sua apparizione nel 1961 con "Accattone" avviene nel momento in cui il cinema neorealista sta terminando e cerca nuove strade (Antonioni, Fellini, ecc.). Non più realismo, quello che poi si è scoperto essere un finto realismo ( il neorealismo era un'aspirazione a fare l'Italia diversa da quella che era, e rappresentava un realismo che si rifaceva ai moduli del romanzo ottocentesco: un naturalismo in molti punti volgare). 
Quel realismo ( l'aveva capito perfettamente Pasolini e l'avrebbe capito Antonioni) era un atteggiamento del tutto eversivo verso la realtà. Si trattava di vedere il mondo diverso da quello che era. Rossellini, il Rossellini del "Francesco giullare di Dio", faceva un cinema religioso e,insieme, eversivo. E proprio questo Rossellini avrebbe influito su "Accattone". Ora Accattone che cos'è se non Gesù Cristo? Questo disperato muore pagando le colpe, non le sue (probabilmente non ne ha, Pasolini lo assolve subito) ma quelle della società e del mondo di cui porta la croce. E di lì in poi, sino alla fine, Pasolini non ha fatto che riprodurre la vicenda, la parabola, il calvario del Cristo. Il significato di tutto il suo cinema mi pare stia qui. Anche nelle fiabe come "Uccellacci e uccellini" che è una fiaba divertente. 
L'autore, oltre ad essere un uomo profondamente religioso e quindi eversivo ( un uomo religioso non può essere altro che un eversore, se è un religioso vero), era immerso anche in una cultura a buon diritto chiamata manieristica. Il suo cinema, il suo linguaggio, la sua letteratura portano evidenti i caratteri del manierismo. A parte il Masaccio presente nell'ultima inquadratura di "Mamma Roma" (il Cristo morto, Ettore sul tavolo della contenzione), riferimento che nasce da Roberto Longhi, il suo maestro, tutta l'ispirazione figurativa pasoliniana è manieristica: Rosso Fiorentino, Pontormo, i Carracci bolognesi, ecc.: forme estenuate, al limite del barocco, santi sofferenti, ma sofferenti in belle forme (la sofferenza anche come ammirazione della bella forma). C'è in tutti i suoi film. In "Accattone" c'è.
Bellissimo è Accattone sempre, ma soprattutto quando muore; bello quando si tuffa dal Ponte Sant'Angelo, bello perché sofferente, bello perché ha questi atteggiamenti struggenti, quasi a chiedere scusa di essere vivo.
Tutto questo si rifletteva anche, ma in modo curioso, nelle fiabe. Tante fiabe ha fatto Pasolini: "Il fiore delle Mille e una Notte", uno dei suoi ultimi film è una raccolta di fiabe. Ma sono fiabe anche tutti i piccoli episodi inseriti in altri film. Fiaba è soprattutto "Uccellacci e uccellini", dove Pasolini si sforza di convincere se stesso e gli altri - e li convinse, gli altri di essere marxista. Si sforza di essere uno di coloro che seguono un partito per trasformare la società. Ed era esattamente l'opposto: pur tentando di sostenere un progetto di trasformazione sociale, non aveva nessun interesse ( se non un interesse, diciamo così, viscerale o morale) alla trasformazione della società. Quello che a lui interessava era mettere in scena l'uomo sofferente, l'uomo che paga per tutti, l'uomo che si accolla tutti mali del mondo, li fa propri, ne paga le conseguenze sino alla fine, sino alla morte.
In questo apologo che è "Uccellacci e uccellini" si parla di due disperati molto divertenti, un padre e un figlio (Totò e Ninetto Davoli) che incontrano un corvo: una specie di anima paleomarxista che ricorda loro che bisogna fare la rivoluzione. E se lo mangiano - rito cannibalistico tipico della cultura manieristica di Pasolini- cercando di assorbire dalla carne del corvo la capacità e l'energia per fare la rivoluzione. Capiscono che non è possibile, povero corvo. 
Questa tavoletta molto astratta e metafisica e difficile, dimostra la radicale impossibilità di un uomo come Pasolini di partecipare a qualsiasi progetto di rivoluzione sociale. Bisogna anche dire che Pasolini lavorava (concluse il suo lavoro, purtroppo, nel 1975) quando lo slancio della cosiddetta "ricostruzione" si stava progressivamente affievolendo e venivano meno le possibilità di vero rinnovamento e ci si trovava davanti ad una società economicamente più evoluta e anche più autoritaria, che imponeva una serie di vincoli nati dalla necessità di far funzionare il meccanismo economico: un meccanismo oggi in crisi, e proprio da questa crisi si scopre quanto siano forti l'autorità e l'autoritarismo. Pasolini ha percorso questa parabola attraverso il suo cinema, un cinema particolarmente violento, vivo e suggestivo. Un cinema che nasceva da presupposti manieristi: Rosso Fiorentino, Pontormo. "Uccellacci e uccellini" dimentica che davanti alla macchina da presa c'è quella che noi chiamiamo realtà, e se ne inventa un'altra. Parole, immagini, suoni, è tutta un'altra cosa. Non solo, ma Pasolini addirittura usa le didascalie, e in modo straordinario: i dialoghi con gli uccelli sono fatti con le didascalie. E tutti e due i dialoghi finiscono con la parola "amore", prima in minuscolo, poi in maiuscolo, e poi ancora più grande. Lo spunto viene da un film sovietico degli Anni Venti: allora per indicare l'alzarsi del tono della voce sino ad arrivare all'urlo, si aumentava il corpo del carattere.
Pasolini si rifà a cose del genere, come si rifà a Chaplin nel finale, o come si rifà al Rossellini di "Francesco giullare di Dio". Solo che stavolta non è San Francesco che fa il giullare; anzi, lui, S.Francesco, non ha voglia di lavorare e delega a un altro, a frate Ciccillo, la conversione degli uccelli.
S. Francesco (e questo è molto bello e anche fine) è uno sfaticato che fa l'intellettuale Pasolini polemizza sempre contro gli intellettuali, cioè contro se stesso- da gli ordini e le disposizioni (spiega:dovete fare questo, quest'altro e quest'altro) e manda frate Ciccillo con l'aiutante a convertire gli uccelli. E loro ci riescono. Questo film è stato girato nell'inverno del 1965 ed è uscito nel 1966.
Ricordo di essere andato a trovare Pasolini in quella casetta che si vede all'inizio, dove i ragazzi ballano l'hully gully. Era il momento in cui si stava costruendo il raccordo con l'autostrada per Civitavecchia: c'era già l'autostrada per Fiumicino ( il finale si svolge ai margini di un aeroporto).
Ecco, Pasolini ha avuto una eccezionale intuizione figurativa, perché questa cosa che si stava costruendo, ma che era già vecchia, gli è servita per dimostrare che il mondo è finito: è finito anche se si tenta di rinnovarlo, di ricostruirlo, di sovrapporre al vecchio il nuovo. Quell'autostrada è già vecchia, è già distrutta, come se fosse scoppiata una bomba atomica, e gli uomini ancora discutono. Discutono usando una ideologia vecchia come quella del corvo che li segue (è un rompiscatole, questo corvo meritava veramentedi finire ammazzato). E poi Ninetto Davoli dice: " Sì, li ammazzo tutti", e fa il verso della mitragliatrice. Dice: "Allora quando io c'ho finalmente un lavoro, vado lì e ammazzo i cani. Vieni pure tu?" "Certo che vengo anch'io". Ta-ta-ta-ta-ta. E qui scatta la lunga sequenza del funerale di Togliatti.
Quello che non è realistico di Pasolini è il modo di raccontare. Tant'è vero che usa la fiaba e stravolge la realtà di miseria mostrandola come una degradazione umana, cosa che i neorealisti non avevano mai fatto (rispettare sempre l'uomo, perché credevano che l'uomo potesse riscattarsi). Qui invece la realtà è un semplice sfondo sul quale Pasolini costruisce la sua storia, le sue storie che hanno un carattere completamente diverso. 
Facciamo un confronto. Prendiamo, da una parte, questa fiaba così triste e disperata eppure così allegra, così manierista. E dall'altra "Miracolo a Milano", una fiaba che nacque in atmosfera neorealistica. Zavattini e De Sica credevano al progresso dell'uomo e credevano che esistesse un luogo dove "Buongiorno vuol dire - come recita la didascalia finale - veramente Buongiorno". Pasolini non ci crede più. Al massimo dice che c'è Cuba a non so quante decine di migliaia di chilometri di distanza, e Istambul idem: cartelli indicatori di una realtà quasi fantascientifica. Il mondo è quello che è. Ritornano vecchi atteggiamenti contadini, una vecchia pazienza, una vecchia rassegnazione. Difendiamoci. I contadini, quando vedono i due che gli vanno a sporcare il campo, fanno il finimondo: "Questa è terra mia, non è terra tua, vattene?". Però, ci sono anche i segni di speranza. Sono segni, come dire?, nascosti, indiretti. E sono i segni della donna: in Pasolini è sempre molto presente tutto questo. La prostituta (Femi Benussi) seduta sul ciglio della strada è la speranza, è quella che ha capito, che consola senza chiedere nulla, che ha dentro una capacità di vivere diversa dagli altri, che afferra immediatamente i bisogni e che, senza parlare di compenso, accetta la compagnia, si diverte con chi l'avvicina. In tutti i film di Pasolini c'è questo. La donna giovane ( la speranza), in contrapposizione alla donna vecchia, che lui vede come la "degenerazione" di sua madre, quella madre a cui inconsciamente attribuisce tutte le sue disperazioni. Qui la donna vecchia è ironizzata nelle tre streghe, e sono proprio le streghe del Macbeth che si ridanno la battuta. Le tre streghe che irridono , che respingono tutte le possibilità di capire. La donna giovane no. Ed è la stessa donna giovane che c'era nel primo film, in "Accattone", Stella, in contrapposizione alla moglie e alla famiglia della moglie.
Stella, ragazza quasi incosciente, una specie di Madonna (tornano, naturalmente, tutti i simboli), si muove in un mondo pieno di letame: è il giglio nel fango, letteralmente. Qui è lo stesso. E' così in tutti i film di Pasolini. Dunque, il neorealismo è stato la molla di partenza, lo sfondo sul quale Pasolini ha costruito una cosa completamente diversa. L'insegnamento sta in questa aria di festa francescana, di allegria nonostante (o, anzi, grazie a) la perdita delle illusioni che Pasolini ti comunica durante tutto il film: Pensiamo alle immagini di "Uccellacci e uccellini" più ancora che alle parole o ai significati razionali. Pensiamo, ad esempio, al ricorrere continuo della luna. La si vede nei titoli di testa, la si ritrova come una falce durante il film, la si rivede alla fine, e ricorre anche nel nome della ragazza. Ecco uno degli antichissimi simboli della cultura nostra che, proprio perché così profondi, valgono in quanto comunicano un minimo di emozione, producono quella specie di "spaesamento" che da la fiaba.
Simboli che ti staccano - ecco dove non è più neorealismo- dalla consuetudine del piangere sulle disgrazie altrui (questo era il neorealismo) e ti conducono in un mondo diverso, dove tu sei a confronto con te stesso e con i tuoi problemi. In questo senso direi che ci può essere un insegnamento pasoliniano, pensando anche all'orrore dei suoi ultimi film, delle sue ultime esperienze, della sua morte. "Uccellacci e uccellini" era un momento allegro, in cui si poteva ancora ( come in "La terra vista dalla Luna", il cortometraggio uscito in un film a episodi), non dico illudere, perché le illusioni erano già finite, ma gioire nonostante tutto, come appunto Francesco e i suoi. 
Fernaldo Di Giammatteo
Conferenza del 30.3.1985
In atti di "Ricordando Pier Paolo Pasolini"
Associazione Intercomunale n.20/A Valdarno Superiore Sud
San Giovanni Valdarno - a cura di Massimo Palazzeschi


Di: Massimo Palazzeschi

Fonte: Massimo Palazzeschi

Pubblicato il: 02/11/2005 da Massimo Palazzeschi

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