datafilm Drammatico
data: 01/01/1986, Italia
Il successo di "Cento giorni a Palermo", consente a Ferrara di avere l’ok del produttore Mauro Berardi per girare il film sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro. Il regista si affida nella sceneggiatura a due importanti figure, lo scrittore americano Robert Katz, che aveva pubblicato nel 1982 il libro “I giorni dell’Ira- il Caso Moro senza censure”, e Armenia Balducci, compagna di Gian Maria Volonté, con la quale ha sceneggiato tutti i suoi film. Il Caso Moro è il film più noto di Ferrara, quello sul quale si è scritto di più, se ne è parlato per anni e che tutt’ora oggi rimane la pietra miliare nella carriera del regista di Castelfiorentino.Già prima che uscisse, si scatenò contro il film una campagna di stampa che- come dicono i migliori pubblicitari- fece la fortuna del film al botteghino. In realtà tutti temevano il film di Ferrara, che scardinò la tesi semplicistica della sola azione delle Brigate Rosse. Ferrara -attingendo rigorosamente ai documenti dell’epoca, e scandendo il racconto del sequestro attraverso le lettere di Moro dalla prigionia - mise in luce il ruolo della P2 e dei servizi segreti deviati nel favorire l’azione delle Brigate Rosse, non risparmiando la classe politica di allora che il regista rappresenta cinica e rinunciataria. Si confrontarono due linee politiche: quella della non trattativa con i terroristi, perché, si disse allora, lo Stato non può trattare con i criminali e quella, che risultò minoritaria, della trattativa, dello scambio di Moro con alcuni brigatisti detenuti in carcere per dei delitti. I terroristi, non riuscendo nell’imporre lo scambio, alla fine giustiziarono lo statista democristiano, nonostante i tanti inviti a lasciarlo libero, tra i quali la famosa “supplica” di Papa Paolo VI che, già malato, rimarrà profondamente scosso dalla perdita dell’amico di gioventù, dell’ “uomo buono, mite, saggio” e morirà nell’agosto dello stesso 1978. C’è poi l’asso nella manica del regista, Gian Maria Volonté, che interpreta lo statista democristiano in modo magistrale, un personaggio conosciuto dal grande pubblico fino ad allora solo nei dibattiti televisivi che, dalle lettere alla famiglia e ai colleghi di partito, viene reso profondamente umano e di straordinaria ricchezza interiore, un uomo che vedeva il futuro nella politica del nostro Paese con l’apertura al P.C.I. e per questo fu messo a tacere. Solo la piccineria provinciale di tanti critici, preoccupati del polverone politico sollevato dal film, impedisce a Volonté e a Ferrara di avere il giusto riconoscimento. Saranno i critici tedeschi, al festival cinematografico di Berlino, a dare il premio all’ interpretazione straordinaria di Gian Maria Volonté. Padrone della macchina da presa come pochi, Ferrara regala allo spettatore un inizio del film (con la sequenza del rapimento di Moro in Via Fani a Roma) che è da antologia, essenziale e drammatica :ci fa capire con realismo cosa avvenne la mattina di quel 16 marzo 1978. Proprio per mantenere il realismo nel racconto cinematografico, Ferrara a volte utilizza un linguaggio semplice, quasi documentaristico, con un montaggio secco, essenziale, che molti criticano come didascalico. Per il regista è invece la continua ricerca dell’essenzialità stilistica ed espressiva, che rifugge il sentimentalismo tipico della commedia, per evitare che lo spettatore evada anche solo per qualche attimo dalla intensità del racconto e dalla drammaticità della vicenda, ed è questo il rilievo “cinematografico” che molta critica ha scritto sul film di Beppe Ferrara. Ma “Il Caso Moro” rimane ancora oggi, ad un quarto di secolo di distanza, un film attuale per capire in quale Stato abbiamo vissuto in quegli anni, per i pericoli corsi dalla democrazia ad opera del terrorismo e dei poteri occulti che lavoravano per una svolta eversiva nel nostro Paese.
SUL SET DEL “CASO MORO”.
(Massimo Palazzeschi)
Nel 1985 organizzai per la Biblioteca comunale di Pergine – grazie allo scrittore Robert Katz- un incontro con Ferrara che era reduce dal successo del film “Cento giorni a Palermo”, sull’omicidio del generale Dalla Chiesa. Pochi mesi prima il figlio del generale, Nando, oggi deputato, aveva presentato sempre in biblioteca un libro sul padre parlando di “delitto imperfetto”.La serata con Ferrara, pur nella diversità di opinioni sulla tesi del film (il generale fu ucciso dalla mafia su input del potere politico romano) vide la presenza di molta gente. Conobbi Ferrara in quell’occasione e grazie alla sua disponibilità, pochi mesi dopo, all’inizio del 1986, mi ritrovai al teatro 8 di Cinecittà a vedere recitare Gian Maria Volonté nei panni di Aldo Moro. Al centro del grande teatro era stata ricostruita la camera – cella identica a quella dove lo statista democristiano aveva trascorso i 55 giorni di prigionia prima di essere ucciso dalle BR. Sul set Ferrara dava le ultime disposizioni all’operatore di macchina, mentre Gian Maria Volonté si preparava sul set, isolato da tutti. Mi colpì subito la trasformazione dell’attore nel volto sofferente e pieno di dignità di Aldo Moro. Nella scena del film che vidi girare, Moro chiede al suo carceriere se la lettera per il suo partito è stata consegnata ed il brigatista (Mattia Sbragia) assicura che è arrivata a destinazione. Ferrara fece solo tre ciak, il minimo indispensabile per non avere problemi al montaggio, ed io rimasi sbalordito dalla recitazione di Volonté, perfetta per tutte e tre le volte, con le pause e lo sguardo ripetuto con una professionalità straordinaria. Anche la troupe era consapevole di vivere un momento importante del film ed il silenzio era massimo. Solo lo“stop” di Ferrara ed il seguente “Bene Gian Maria”, allentavano la tensione fra un ciak e l’altro. Io mi ero messo dietro al carrello della macchina da presa che durante la scena doveva essere spinto piano, piano fin dentro la piccola cella, per inquadrare in pieno il viso di Volonté. Insieme a me c’era un signore alto che osservava la scena e che nella penombra non avevo riconosciuto, era Pino Donaggio, l’autore della colonna sonora. Nella pausa, quando tutti si fermarono a mangiare, Volonté continuava a camminare da solo per lo studio. Camicia bianca sbottonata a maniche lunghe, pantaloni scuri, ciabatte, era un Aldo Moro perfetto. Io pensavo che durante la pausa staccasse dal personaggio, che si potessero fare due chiacchiere, ed ero pronto a fare un’intervista per un giornale di Arezzo. Ma come mi avvicinai e gli chiesi di intervistarlo, lui mi oppose un no con la mano e compresi che era sempre concentrato sul personaggio, non voleva distrarsi, neanche il pranzo lo attirava, nonostante ci fosse nello studio un carrello fumante con pasta, carne e caffè. Volonté rimase sempre lontano in un angolo del teatro, solo e a testa bassa, camminando a piccoli passi. Infine, prima di riprendere a girare, si chiuse per un po’ nella sua roulotte. Un addetto alle luci e lo stesso Ferrara mi confermarono che l’attore si comportava sempre così.
Di: Giuseppe FerrarÃ
Fonte: Massimo Palazzeschi
Protagonisti: Gian Maria Volonté.
Link: http://www.bitbar.it/leggi.php?categoria=protagonisti&rif=16
Pubblicato il: 01/12/2011 da Massimo Palazzeschi