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Giuseppe Ferrara

Regista e critico cinematografico. (1932-2016)

Giuseppe Ferrara

protagonisti Cineasti

data: 15/07/1932, Castelfiorentino (Fi)

E' nato a Castelfiorentino (Fi) il 15.7.1932. Si laurea in lettere all'Università di Firenze con una tesi in storia del cinema con relatore Roberto Longhi. Nel 1952 comincia la sua attività di giornalista pubblicista con collaborazioni alle principali riviste di cinema, fra le quali "Bianco e Nero" e "Filmcritica". Nella sua carriera ha scritto un numero imprecisato di articoli su autori e film, è autore di vari libri sulla tecnica cinematografica ed è stato curatore di enciclopedie sul cinema. 
Si è diplomato nel 1959 in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e ha diretto oltre cento documentari che hanno ottenuto riconoscimenti in Italia e all'estero. 
Il suo esordio in regia risale al 1963 con uno degli episodi del film "I misteri di Roma" di Cesare Zavattini. Il suo primo film, dedicato al tema della mafia, è "Il sasso in bocca"(1970). 
Gli altri suoi film, in una carriera che ha sempre privilegiato l'impegno su opere di testimonianza civile rispetto alla facile notorietà con film più facili e ben retribuiti, sono: 
"Faccia di spia" (1975), " Panagulis vive" (1981), "Cento giorni a Palermo" (1984), "Il Caso Moro" (1986), "Narcos" (1992), "Giovanni Falcone" (1993), "Segreto di Stato - forze oscure" (1994), "I banchieri di Dio - il caso Calvi" (2002). Docente di regia in Italia e all'estero, presidente della Nuova Cooperativa doppiaggio, ha inoltre diretto programmi televisivi tra i quali la fiction "Donne di Mafia" (2001) e, assieme a Giacomo Gambetti, una serie dedicata al linguaggio del film, "L'Occhio Magico". 
Da alcuni anni è presidente della NCD (Nuova cooperativa di Doppiaggio) di Roma. 

Dalla sua lunga carriera emergono quattro grandi film: 
"Cento giorni a Palermo-il caso Dalla Chiesa", "Il caso Moro", "Giovanni Falcone", "I banchieri di Dio- il caso Calvi". 
Dice Ferrara nel 2002: 
"I banchieri di Dio" è il mio quarto lungometraggio-verità sui 'misteri d'Italia'. Gli altri tre film sono " Cento giorni a Palermo", "Il caso Moro", "Giovanni Falcone". Forse è superfluo dire che le quattro pellicole sono collegate da un medesimo slancio morale - la difesa della democrazia- e dagli stessi intenti conoscitivi di tipo storico. E non si tratta di analisi all'acqua di rose; si tratta di quattro sipari strappati con forza, di riflettori accesi su grandi delitti, al fine di scoprire perché gli scheletri delle vittime siano occultati alla vista e nascosti in labirinti tenebrosi. 
Moro, Calvi, Dalla Chiesa, Falcone: quattro esecuzioni (in ordine temporale). 
Sono alcuni dei picchi negativi della recente storia d'Italia, sono quattro distinti minigolpe implosivi di un medesimo disegno antidemocratico che, metro dopo metro, hanno portato il Paese, come scrive Gina Lagorio, 'su uno scivolo ogni giorno più viscido verso il regime'. 
Non a caso questi picchi delittuosi sono tutti collegati ad una vicenda nodale per la nostra storia recente: quella della P2." 
(G . Ferrara "L'assassinio di Roberto Calvi" Massari Editore 2002). 

"Cento giorni a Palermo", (1984), è il primo grande successo di Ferrara. Rinasce il cinema di impegno civile che in quegli anni pareva sopito; al pubblico piace questo film che ricostruisce i tre mesi passati dal Prefetto Dalla Chiesa a Palermo dal giugno al 3 settembre del 1982, quando due killer su una moto crivellarono di colpi la A112 della moglie del generale, la giovane crocerossina Emanuela Setti Carraro, uccidendoli entrambi. 
L'interpretazione di Lino Ventura nella piena maturità, un Dalla Chiesa serioso e combattivo contro la mafia ma pieno di slanci per il suo lavoro e per la giovane moglie Emanuela, nel film Giuliana De Sio, intensa e appassionata, il muro di gomma dei politici romani capeggiati da un attuale senatore a vita, decretano il successo di questo film. 
Ciò consente a Ferrara di avere l'ok del produttore Mauro Berardi per girare il film sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro. 
Il regista si affida nella sceneggiatura a due importanti figure, lo scrittore americano Robert Katz, che aveva pubblicato nel 1982 il libro "I giorni dell'Ira- il Caso Moro senza censure", e Armenia Balducci, con la quale ha sceneggiato tutti i suoi film. 
Il Caso Moro è il film più noto di Ferrara, quello sul quale si è scritto di più, se ne è parlato per anni e che tutt'ora oggi rimane la pietra miliare nella carriera del regista di Castelfiorentino. 
Già prima che uscisse, si scatenò contro il film una campagna di stampa che- come dicono i migliori pubblicitari- fece la fortuna del film al botteghino. In realtà tutti temevano il film di Ferrara, che scardinò la tesi semplicistica della sola azione delle Brigate Rosse. 
Ferrara attingendo rigorosamente a documenti mise in luce il ruolo della P2 e dei servizi segreti deviati nel favorire l'azione delle Brigate Rosse, non risparmiando la classe politica di allora che esce cinica e conservatrice nel film. 
C'è poi l'asso nella manica del regista, Gian Maria Volonté, che interpreta lo statista democristiano in modo magistrale, un personaggio conosciuto fino ad allora solo in video che, dalle lettere alla famiglia e ai colleghi di partito, viene reso profondamente umano e di straordinaria ricchezza interiore, un uomo che vedeva il futuro nella politica del nostro Paese con l'apertura al P.C.I. e per questo fu messo a tacere. 
Solo la piccineria provinciale di tanti critici preoccupati del polverone politico sollevato dal film impedisce a Volonté e a Ferrara di avere il giusto riconoscimento. Saranno i critici tedeschi, al festival cinematografico di Berlino, a dare il premio alla interpretazione straordinaria di Gian Maria Volonté. 
Padrone della macchina da presa come pochi, Ferrara regala allo spettatore un inizio del film (con la sequenza del rapimento di Moro in Via Fani a Roma) che è da antologia, essenziale e drammatica :ci fa capire con realismo cosa avvenne la mattina di quel 16 marzo 1978. Il film risulta un po' più debole nei personaggi di contorno. Per far riconoscere immediatamente allo spettatore i personaggi politici di allora, e per problemi di budget, di impossibilità di avere tre o quattro attori di grande livello, Ferrara si avvale di sosia , di attori di teatro e di televisione che impersonano i politici di quel tempo. 
Spesso la somiglianza accentuata solleva ilarità, o meglio distoglie per qualche attimo dalla intensità del racconto e dalla drammaticità della vicenda, ed è questo il rilievo "cinematografico" che molta critica ha scritto sul film di Beppe Ferrara. 
Ma "Il Caso Moro" rimane ancora oggi, a quasi vent'anni di distanza, un film attuale per capire in quale Stato abbiamo vissuto in quegli anni, per i pericoli corsi dalla democrazia ad opera del terrorismo e dei poteri occulti che lavoravano per una svolta eversiva nel nostro Paese. 
"Giovanni Falcone" è un "istant movie" uscito nel 1993, un film scritto a caldo dopo la morte del famoso giudice antimafia, avvenuta nel maggio del 1992. Si avvale di un interprete intenso, Michele Placido, un Falcone coraggioso ma consapevole della sua fine, e un Paolo Borsellino interpretato da un Giancarlo Giannini al meglio nei panni del povero giudice (che sarà vittima anche lui nel boato di Via D'Amelio a Palermo). 
In Falcone prevale ossessiva la minaccia della morte, Ferrara sposa la tesi del giudice "condannato a morire", attraverso espliciti riferimenti cinematografici,( Falcone guarda ripetutamente "Il Settimo Sigillo" di Ingmar Bergman, dove il Cavaliere Blok (Max Von Sydow) gioca la partita a scacchi con la morte). 
"I Banchieri di Dio- il caso Calvi" è il più recente film di Ferrara (2002). E' un progetto che non trovava finanziatore e ci sono voluti tre lustri al regista per realizzarlo con il produttore Enzo Gallo. 
Il film si avvale di un cast di tutto rispetto con Omero Antonutti nei panni di Calvi , Rutger Hauer nei panni dell'alto prelato vaticano Monsignor Marcinkus, Giancarlo Giannini (Flavio Carboni), Alessandro Gassman (Francesco Pazienza). 
Attingendo con il rigore di sempre alla documentazione dell'epoca e ai ricordi personali della Sig.ra Calvi e del figlio Carlo, Ferrara ricostruisce gli ultimi anni di vita di questo finanziere considerato potentissimo, ben visto dal potere politico e dal Vaticano che, pian piano, dopo il fallimento del Banco Ambrosiano di cui era presidente, diventa una figura scomoda e a conoscenza di troppi segreti, si scontra con la P2 , la loggia massonica deviata, e viene trovato morto a Londra, impiccato, sotto il Blackfriars Bridge (Ponte dei frati neri), in un modo talmente maldestro che è oramai provato che l'uomo fu trasportato sul posto già morto o ucciso lì da dei sicari. Eppure la tesi del suicidio ha circolato per anni negli ambienti della polizia e ancora oggi trova dei suoi sostenitori. 
Pur nella ricostruzione documentata e realistica, nella buona prova d'attore degli interpreti (Omero Antonutti in primis), il problema del film di Ferrara è quello del capire gli avvenimenti. Dopo venti anni solo una ristretta cerchia di persone dentro i problemi politici del nostro Paese e ben informate su quegli anni apprezza appieno il film: è chiaro che un giovane si trova spiazzato, dovrebbe studiare la storia di quegli anni. 
L'omicidio di Calvi cadde poi in un periodo di inebriamento generale del Paese sui temi sportivi: nel giugno/luglio del 1982 si giocava il mondiale di Spagna, dell'Italia campione, per mesi non si parlò d'altro.


Di: Massimo Palazeschi

Fonte: Massimo Palazeschi

Pubblicato il: 22/11/2005 da Massimo Palazzeschi

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