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ALBERTO SORDI

Uno dei protagonisti assoluti della commedia italiana e non solo.

ALBERTO SORDI

protagonisti Attori

data: 15/06/1920, Roma

Alberto Sordi ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona e di chiamarlo alcune volte al telefono a Roma. Parlare di Alberto Sordi vuol dire parlare della storia del cinema italiano, della storia degli italiani, come diceva lui, in una fortunata trasmissione della Rai di un quarto di secolo fa.
Si potrebbe scrivere e parlare di lui per delle ore, ma non si può. Bisogna allora distillare le parole e affidarsi al ricordo del piacere e della emozione del conoscerlo. 

Vi allego la mia presentazione e un breve ricordo dell’incontro a Pergine con Sordi nel 1996. (M.P.)

14 luglio 1996 Alberto Sordi a Pergine Valdarno per il festival del cinema.

“Non so, Massimo, se verrà, ora Scola si è fatto male ad un occhio sul terrazzo di casa e Sordi doveva venire in macchina con lui, lo chiamerò stasera e gli dirò che lo porto io domani da te a Pergine. Ti faccio sapere”. Era il direttore di Cinecittà, Antonio Moré, che il sabato mattina mi diceva che non era sicuro se Sordi veniva. Pensavo ai manifesti, ai preparativi, alle televisioni e ai giornali, ma pensavo soprattutto alla gente che mi aveva creduto quando avevo detto loro che Alberto Sordi sarebbe venuto a Pergine a ritirare il premio del festival Cinema & Anziani, organizzato dal Comune dove ero sindaco e dalla CGIL di Roma, per il film “Romanzo di un giovane povero”. Pensai che se Sordi dava forfait mi sarei dovuto sotterrare, la responsabilità sarebbe stata solo mia. Non dissi nulla alle persone che lavoravano con me a preparare l’evento del giorno dopo, ma trascorsi una notte agitata. La mattina aspettavo la telefonata, le ore passavano e la tensione saliva, infine alle undici ecco suonare il cellulare. Era Moré. “Ciao, ti passo una persona perché io sto guidando”. “Buongiorno” disse e non ci fu bisogno di altro, continuò a parlare ma io ero in estasi, era il grande Alberto Sordi con la sua voce inconfondibile. Un’emozione forte che ebbi ancora quando lo salutai di persona e come quella che vidi nelle duemila persone scese in piazza ad aspettarlo. Lo chiamavano, lo applaudivano e molti lo toccavano come si tocca una reliquia o la statua del santo in processione. Un entusiasmo indescrivibile, gente ammassata sui balconi, sul muro della fontana in piazza, signore con i bambini piccoli in braccio che volevano che lui li salutasse, una cosa che non mi è più capitata, pur avendo ospitato e incontrato tanti personaggi famosi. I due carabinieri di scorta dovevano aprire un varco tra la gente per farlo passare ed avvicinare al palco dove appena salito ebbe un applauso lunghissimo. Io fermai tutti gli altri invitati sulla scaletta, il palco e l’abbraccio della gente del mio paese era tutto per lui. 

Sordi è il protagonista assoluto della “Commedia all’italiana” che inizia alla fine degli anni Cinquanta e si esaurisce verso la metà degli Anni Settanta .
Quando parliamo di Alberto Sordi, parliamo dell’attore italiano più importante della seconda metà del Novecento. Nato nel 1920, di origini umili, non aveva studiato a lungo per buttarsi subito sul palcoscenico: raccontava spesso, con compiacimento, di essere stato scartato dall’Accademia d’Arte di Milano perché parlava romanesco e non aveva la dizione asettica degli attori di allora.
Così fu condannato ad una gavetta lunghissima, dove solo il suo carattere forte e la volontà sovrumana di non mollare lo fecero proseguire nel mestiere dell’attore, nonostante gli insuccessi e i periodi bui, dove anche mangiare era un problema, come lui ha raccontato dopo nei suoi film. Ebbe l’intuizione (che seguirà tanti anni dopo Carlo Verdone, considerato il suo “figlioccio”) di prendere spunto per i suoi personaggi dalla gente di strada, la gente vera, quelli che lo colpivano di più e che lui rifaceva alla perfezione. Dopo l’avanspettacolo, la radio che comincia a farlo conoscere, arriva il cinema con Federico Fellini agli inizi degli anni Cinquanta e da lì in avanti sarà un continuo trionfo. Sordi propone non l’eroe cinematografico, il salvatore della patria, bensì l’italiano perdente, meschino e anche vigliacco, l’italiano medio di cui accentua i difetti, ma anche l’uomo che, pur vessato, alla fine ha uno scatto d’orgoglio che lo riabilita. I produttori, dopo il periodo neorealista del dopoguerra, abituati ai film degli eroi mitologici, i vari Ercole, Ben Hur e compagnia, che spopolavano negli Anni Cinquanta, ebbero all’inizio paura che queste storie, questi personaggi di Sordi così vicini alla realtà quotidiana, non piacessero allo spettatore, e Sordi faticò non poco a proporli ma fu il pubblico – come sempre – ad aiutarlo decretandone il grande successo al botteghino. I film di Sordi di quel periodo, il “decennio d’oro” (fine Cinquanta –fine Sessanta), in rigoroso bianco e nero, sono una pietra miliare del nostro cinema e raccontano un’ Italia molto più vera di quella scritta nei 
libri di storia. 
Si è discusso per anni della sua recitazione molto fisica e del suo porgere la battuta “sopra le righe”, l’enfatizzare le parole che diceva, che sul momento lasciavano perplessi più di un regista (Carlo Verdone rivelò in un incontro da me anni dopo che sul set di “Troppo forte”-1986- dove era attore e regista, quando dirigeva una scena con Sordi doveva prendere una pasticca, un ansiolitico, perché non poteva vedere recitare in quel modo enfatico e, nel contempo, non poteva chiedere di cambiare modo di dire le battute -per stima e doveroso rispetto - al grande Alberto). Questo suo modo tipico di recitare sul momento creava perplessità, ma rivedendo il film a distanza di anni era proprio la sua recitazione che dava sempre freschezza e originalità al film, come dire lo rendeva “eterno”. Lo stesso Carlo Verdone lo ha riconosciuto dopo la sua morte nel 2003, che il tempo dava ragione ai film di Sordi. Così frizzante, vivace nei suoi film, così discreto nella vita privata, che conduceva con un ritmo monacale. Viveva in una villa splendida a Roma, vicina alle terme di Caracalla, un edificio molto grande su tre piani, di quell’ocra marrone tanto caratteristico nella Capitale, con le palme in giardino. Non si è mai sposato, pur avendo avuto storie con attrici, e ha sempre vissuto con due sorelle e un fratello, di cui una, Aurelia, è ancora viva e custodisce la villa museo di Roma. Li ha sempre mantenuti lui per tutta la vita, una cosa di cui non parlava ma ne andava fiero. Forse per il suo grande successo che aveva, per il bene che la gente gli tributava per strada (raccontò che dagli Anni Ottanta non poteva più andare a spasso per Roma perché veniva circondato dalla folla) aveva anche forti denigratori nell’ambiente, a cominciare dai suoi stessi colleghi attori, che mettevano in giro cattiverie e pettegolezzi su di lui. Fra i tanti il più noto ( e falso), scoperto compiutamente solo dopo la morte, era quello della sua presunta avarizia, della sua tirchieria che gli faceva portare a casa – su sua richiesta – anche gli abiti di scena del film, compresa la biancheria, camice, canottiere e mutande e i “pedalini “ ( i calzini) , così – ridacchiavano i maligni – non aveva da ricomprarli. In realtà Sordi indossava questi abiti per poche ore, li mandava in tintoria e li dava alle associazioni umanitarie di Roma, con l’impegno all’anonimato. Questo è durato per cinquant’anni. Molti ancora si domandano il perché Sordi, nonostante il fioccare di articoli negativi sulla sua avarizia, non smentisse o non facesse presente che finanziava tanti istituti religiosi che lavoravano per gli anziani e per i giovani, che faceva più lui da solo, avendo disponibilità notevole di denaro, di tanti suoi colleghi che si vantavano di fare beneficenza. 
La chiamata ad Holliwood. 
Sordi ha sistematicamente rifiutato proposte dagli studios americani, quando ha lavorato oltreoceano lo ha fatto sempre per un suo progetto nato in Italia. Ricordate il benzinaio Giuseppe (Sordi) che insegue per l’America il padre Vittorio De Sica pieno di debiti nel suo film diretto e interpretato “Un italiano in America” del 1967? Venti anni dopo vi ritornerà con “Un tassinaro a New York”, ma il più “americano” dei suoi personaggi lo ha girato nel 1954 a Cinecittà sotto la regia di Steno, dove è consegnata agli annali della storia del cinema la scena in cui il suo Nando Meniconi, giovane infatuato degli Stati Uniti, prova a mangiare americano, latte, pane e mostarda, ma sputa tutto e si butta sui maccheroni “m’hai provocato e mò te magno”, nell’indimenticabile “Un americano a Roma” (1954). Questo come tanti altri film di Sordi li puoi rivedere cento volte e non ti stancano mai, tanto è la bravura e la cura non solo di Sordi ma di tutti gli altri professionisti che lavorano nel film e per il film, a cominciare dal regista. 

Muore a Roma il 25 febbraio 2003


Di: Massimo Palazzeschi

Fonte: Massimo Palazzeschi

Pubblicato il: 22/12/2011 da Massimo Palazzeschi

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